Diario di Viaggio in Serbia

IL MONASTERO DI BUKOVO IN SERBIA. I FRATELLI MONACI E I LORO “VINI EROICI”.

Era da tempo che i monaci ortodossi di Bukovo avevano esteso l’invito all’amico Alvaro De Anna per una visita in Serbia, presso il loro trecentesco monastero. Alvaro li aveva conosciuti e quindi ospitati a Treviso e Venezia, in primo luogo grazie alle manifestazioni che lui stesso aveva organizzato, manifestazioni legate al mondo del vino (Vini da Terre Estreme). Bukovo Manastir, la loro residenza conventuale, vede infatti i monaci impegnati in diverse attività e da alcuni anni, precisamente dal 2008, i confratelli possiedono anche una cantina all’interno del loro monastero, dove realizzano vini di qualità e che, insieme a Alvaro, ho avuto più volte il privilegio di degustare.
Pertanto, rispondendo al gentile invito, una mattina di luglio, siamo partiti alla volta della Serbia.
La pioggia ci ha inizialmente accompagnati, ma una volta oltrepassato il triestino confine con la Slovenia, ha cessato di essere battente e concesso ai raggi di sole di fare capolino. 

Il confine mi ha sempre rievocato le immagini della giovinezza impresse nella mente, di quando ancora era Jugoslavia e mi incuteva sempre un inspiegabile timore. Alvaro, da buon friulano, ci ha lungamente convissuto. La terra slovena viene rapidamente superata così come quella croata, nella quale decidiamo di fare tappa. E’ nella cittadina di Slavonski Brod che ci attende un inevitabile tuffo nel comunismo titino.
La città, adagiata sul fiume Sava, è porto fluviale nella regione croata della Slavonia, sul confine con la Bosnia-Erzegovina, confine demarcato dal fiume medesimo. Famosa la sua Fortezza, ma è la piazza centrale che ci ha entusiasmati, per la decadente ma affascinante “accozzaglia”  di stili, per i “leggeri” interventi del socialismo reale. Lì ci siamo fermati per un necessario quanto piacevole ristoro, con piatti tipici e freschissima birra locale. 
Ripartiti e ripresa l’autostrada ecco arrivare infine la frontiera serba e poco dopo l’arrivo a Belgrado e il nostro primo incontro con il fiume Danubio (che avremo poi ben occasione di vedere e seguirne il cammino a ritroso). La capitale della ex Jugoslavia viene da noi solo lambita ed è stato proprio in quel momento che… Black-out, “maledetta tecnologia”, ci ritroviamo improvvisamente esclusi dal mondo. Il GPS è out, una vecchia guida con una “mappina” della Serbia, tanto piccola quanto scarna di informazioni, ci viene comunque in soccorso.
Non sappiamo bene dove andare, catapultati (e che ci serva di lezione) in un vicino passato dove la carta geografica dettagliata e qualche parola scambiata con gli abitanti del luogo faceva tutta la differenza.
Le nostre minime informazioni e un percorso incerto ci regalano una discreta “angoscia” non desiderata. Ci sentiamo proprio in Jugoslavia.
Il percorso ha dell’incredibile; fuori dall’autostrada belgradese il mondo rallenta e quasi si ferma! I ritmi sono scanditi dalla lentezza e dalle ore “pesanti” in un percorso che non conosciamo sotto un torrido sole estivo.
È pomeriggio, la meta appare ingenuamente vicina ma, per la tortuosità delle strade e i continui incessanti saliscendi non lo è affatto. Si fa rifornimento, anche l’auto ha le sue esigenze, come noi. L’inglese per gli autoctoni è ancora lingua sconosciuta. 
Da ora in avanti la parola d’ordine sarà solo una e sempre quella: “Pravo” (ПРАВО), sempre dritto, quasi uno slavonico imperativo. Questa la risposta che ci daranno a ogni nostra richiesta di informazioni sul percorso per raggiungere Bukovo e Negotin.

A questo punto è solo una questione di bussola, si va sempre verso Est, verso il cuore dei Balcani, verso il grande fiume Danubio ai confini con i paesi della Romania e Bulgaria. Alvaro, instancabile pilota, non concede alcun segno di cedimento o affaticamento, e questo mi rincuora, ma è palesemente infastidito dai muti quanto radi cartelli stradali, che si ostinano a non indicare distanze e sono davvero troppo pochi.
Anche il telefono non fiata e non possiamo comunicare la nostra posizione ai monaci di Bukovo e avvisare per il nostro ritardo che si fa di ora in ora sempre più certo.
A morsi riusciamo a carpire qualche minima informazione, nominando la cittadina di Negotin e il vicino Bukovo Manastir. Ancora una volta la risposta è sempre quella: “Pravo” (ettepareva).
D’improvviso lo scenario cambia, si fa di color arancione e si apre. Ci troviamo di fronte alla miniera di rame a cielo aperto di Bor, una delle più grandi d’Europa, e che ci fa davvero impressione. Ci fermiamo per ammirare e per scoprire che, grazie a un  grande cartello posto a lato della carreggiata, anche questa è in mano ai cinesi.
L’insediamento originario è ottocentesco ma lo sviluppo urbano (disarmonico e crudo) lo si è avuto successivamente con l’attività mineraria.

Proseguiamo per le tortuose strade, la nostra meta si avvicina, questo lo avvertiamo, ma seguitiamo anche a non avere riferimenti mentre Alvaro preme sul pedale per ridurre la distanza. Il sole serbo sta calando quando due giovani ragazze del luogo ci forniscono l’ultima indicazione, non più il consueto “pravo” bensì di girare a destra poco più avanti e proseguire per circa 30/40 minuti. Il chilometraggio rimane una chimera, ci appare evidente che in questo lembo di terra balcanica tempi e distanze non assumono ruoli rilevanti, ma sia io che Alvaro non ne siamo sorpresi, tutto ciò lo conosciamo da tempo e fa parte della filosofia di vita di tutti i Balcani.

La strada peggiora a vista d’occhio, l’asfalto della carreggiata presenta rattoppi su rattoppi facendo brontolare la vettura, il panorama però nuovamente si apre e si modifica, come se si preparasse ad accogliere il nostro sprint finale.
Finalmente, intorno alle nove di sera, gli sforzi sono ampiamente ripagati perché, dopo un’ennesima curva in discesa, sulla nostra destra ci appare il placido, rassicurante, agognato e storicissimo monastero ortodosso di Bukovo. Lode al Signore!
Scesi dall’auto e con un minimo di circospezione entriamo tra le mura comunitarie. Un profumo amichevole di tigli ci assale e ci accompagnerà per tutto il nostro soggiorno.
Un monaco ci accoglie e ci fa attendere. Noi siamo incantati da quell’atmosfera pacifica, silenziosa e profumata. Giungono infine i fratelli monaci Platon e Enoch, gli stessi che avevo conosciuto a Mogliano Veneto e che sono amici di Alvaro. Ci scusiamo con loro per l’ora tarda, quasi di compieta, ma siamo comunque accolti con gioia e benevolenza.
Ci invitano a rinfrescarci e prender posto nelle nostre stanze. Non si tratta di celle monasteriali bensì di due ambienti spaziosi, puliti e curati, con bagno annesso e dove nulla manca. Una volta pronti scendiamo mentre Platon e Enoch ci attendono per uscire insieme a cenare. Il ristorante vicino, di nuova fattura, è gestito da amici dei frati (e lo sono un po’ tutti in quel luogo). Si tratta di vignaioli che hanno appena aperto un bel locale dove ci vengono serviti piatti tipici a base di salumi e formaggi, altre pietanze calde, i vini di loro produzione e infine l’immancabile rakija, un distillato simile alla nostra grappa. Come primo approccio non è niente male, e noi di certo non ci tiriamo indietro. Vlad e sua moglie, i proprietari, ci fanno compagnia e sono perfetti padroni di casa. Anche Alvaro appare soddisfatto e i fratelli monaci sono felici di averci con loro e non sanno cosa fare per metterci a nostro agio. Tutto ci appare bello e sereno, la serata scivola piacevolmente e si va a letto con il sorriso. L’indomani mattina all’alba ci aspetta la messa. Le nostre camere sono davvero degne di prelati altolocati, il gradevole profumo dei tigli pervade l’ambiente e ci culla nel meritato riposo.

Alle sei ci alziamo, poco prima delle Lodi. La messa viene annunciata dai rintocchi delle campane della romanica torre che si perdono nella vallata sottostante, campane scosse dalle funi tirate e lasciate dal fratello campanaro.
Con le luci mattutine di una giornata che si preannuncia soleggiata riusciamo a cogliere meglio la bellezza del monastero, in ogni suo aspetto.
Accorrono i primi fedeli per assistere al rito ortodosso che viene celebrato anche in onore di una bambina. Si tratta di Anastasia, oggi è il suo onomastico, ricorrenza importante per gli ortodossi. Lei è la figlia di Vlad, il produttore di vini che avevamo conosciuto insieme alla moglie la sera precedente a cena, nel suo locale.
La messa si svolge con un rituale ben preciso, con incessanti litanie, una netta separazione tra coro e fedeli, come anche la divisione di genere con donne a sinistra e uomini a destra. E’ Vlad stesso che mi chiama e mi invita a spostarmi poiché non conoscevo questa usanza. Sono molto devoti all’immagine del Santo, posta al centro della piccola chiesetta, dove a turno i fedeli vanno a rendere omaggio e baciare l’icona genuflettendosi con rispetto. Dopo un’ora e venti minuti la funzione ha termine. Ci salutiamo e poi veniamo invitati per colazione, all’aperto, a ridosso dell’ambiente principale e di fronte alla chiesa. Alvaro sorseggia con me la slivovitz di prugne, ce l’avevano promessa la sera precedente (credevo scherzassero, invece beviamo distillato di prugna a colazione!). Ci vengono servite molte altre delizie e la colazione prosegue festeggiando anche la piccola Anastasia.
È il momento della visita ai locali del convento e delle sue numerose attività. Nel frattempo Alvaro e io approfittiamo della bottega annessa per fare acquisti di prodotti e opere d’arte in uno shop piccolo ma molto ben fornito.
Andiamo quindi a veder i vigneti, posti a ridosso delle mura, accompagnati come sempre dai fratelli monaci Platon e Enoch. Ci troviamo a una quota di 200 metri sul livello del mare, gli ettari di loro proprietà sono otto, per una produzione di circa 100 tonnellate d’uva ogni anno, ma non tutto è a vigneto. Infatti si producono anche prugne, verdure varie, miele (buonissimo!) e frutta per le marmellate, infine anche dell’aceto.
I vitigni sono quelli internazionali quali il Pinot Nero, lo Chardonnay, il Cabernet Sauvignon, il Gamay e una tipicissima e storica varietà locale, la Tamjanika, dalle uve molto profumate e di forte persistenza. Ci rechiamo poi a visitare la cantina tra botti dove il nettare riposa e bottiglie pronte alla vendita, con la vicina segheria che un tempo costituiva l’attività principale e che ha ceduto poi il passo, dal 2008, alla produzione di vini. I più pregiati vengono anche messi in scatole di legno, tutte realizzate a mano con maestria. La linea d’eccellenza “Filigran” ne è un esempio di alta qualità ed eleganza. Tutta la produzione è biologica.
Non manca proprio nulla in questo luogo di pace e laboriosità. “Ora et labora”.
Gli otto monaci sono molto impegnati e ognuno assolve con diligenza e impegno al proprio compito.
Alle 11 ci invitano nel refettorio per consumare un pasto a base di branzini e deliziose patate preparato da fratello Simon. Oggi si mangia di “magro”, ci informa Platon, ma non è finita, in quanto siamo attesi anche da Vlad e consorte per festeggiare l’onomastico di Anastasia a casa loro. Il pranzo che si presentava frugale invece assume la connotazione di banchetto, all’aperto, sotto un vecchio platano dove Alvaro e io ci sentiamo dei re, tra vini e piatti serviti a profusione. Fratello Platon ci raggiunge con il suo quad nero, io sono seduto tra Enoch e Simon con Alvaro, di fronte a me, intento a degustare un trancio di luccio del Danubio che sembra quasi un pesce spada per le dimensioni. Tutto ci appare così bucolico e le ore conviviali passano tra chiacchiere, calici, piatti e un piacere rinnovato.  

Rientriamo per un breve riposo dalle “fatiche” mangerecce e ci attende poi una piacevole e istruttiva conversazione con fratello Platon. Terminiamo con la visita di ulteriori ambienti monasteriali e quindi ci prepariamo per la cena presso un altro ristorante vicino, sempre di nuova fattura e ancora una volta proprietà di produttori vinicoli. Si ben comprende che l’attività principale nella zona di Negotin è proprio questa e Bukovo vanta anche una storica e rinomata Scuola Agricola.
La vista che ci attende in questo locale ampio, spazioso e dagli arredi moderni è davvero magnifica, su una piana dove si intravede il grande fiume Danubio e i confini rumeni e bulgari. L’ambiente colpisce per la sua eleganza, i fratelli monaci Platon e Enoch sono così gentili e generosi che non vorremmo mai abbandonare queste terre. Ci vengono serviti i vini della produzione di casa e quindi i piatti, con i monaci attenti nell’osservar la regola di mangiar di magro mentre a noi, dopo la consueta carrellata di formaggi e salumi, vengono portati da un attento cameriere, agnello e coniglio che ci deliziano il palato. La cena prosegue in modo amabile fino a quando, fattosi tardi, dobbiamo rientrare. Ci attende una levata proprio alla “Levata” e un lungo lungo viaggio di ritorno.
La mattina prestissimo quindi ci congediamo a malincuore, siamo stati davvero bene in questo monastero con queste belle persone. Dopo abbracci e promesse di rivederci presto, caricate valigie e doni, con i rintocchi delle campane quasi a salutare la nostra partenza, prendiamo con decisione la strada del ritorno, ma questa volta diversa da quella di andata. Abbiamo deciso di risalire il Danubio, in tutta la sua bellezza, costeggiato da distese infinite di girasoli, in un’atmosfera che mi fa rammentare il libro di Magris e altri racconti del secolo scorso. Più volte ci fermiamo ad ammirare le anse del grande fiume e i monti sovrastanti, fino alle “Porte di Ferro” e al Parco nazionale di Derdap, dove le magnifiche gole accolgono il lento e profondo scendere delle acque.
Il viaggio ancora una volta appare interminabile fino a Belgrado, ma la giornata è magnifica e non abbiamo alcun motivo di lamentarci.
Finalmente giunti nella capitale serba, entriamo nell’ autostrada che ci riporterà a casa, con Alvaro sempre instancabile alla guida ed entrambi consapevoli di aver vissuto una bella e piena seppur breve avventura.

Grazie fratelli monaci, siamo stati davvero bene con Voi!
Renato Grando

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